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Circa trent’anni fa, in Italia iniziò un dibattito sull’opportunità del cosiddetto “diritto all’oblio”, legato a fatti di cronaca accaduti molti anni prima e non più di attualità. Questi fatti, però, venivano ciclicamente riproposti dai media, per le più svariate ragioni.
I protagonisti lamentavano di aver pagato il loro debito con la giustizia e la riproposizione di quei fatta su larga scala rischiava di compromettere la loro nuova vita. Negli ultimi anni, poi, con il diffuso accesso a internet, questo tema è diventato ancora più pressante e stringente.
In quali casi il diritto all’oblio si scontra con il dovere di cronaca? Quali sono i casi in cui invece il diritto all’oblio è consentito? Vediamo di fare chiarezza.
Con questo termine s’intende il diritto di ogni persona a non veder divulgati particolari della propria vita passata che possano recare danni e pregiudizi alla sua condizione attuale. Oggi la discussione si è allargata anche al trattamento dei dati personali da parte di terzi, come il numero di telefono, il codice fiscale, l’indirizzo di residenza, e questo consenso al trattamento è regolato attualmente dal GDPR, in vigore da maggio 2018 per i Paesi membri dell’Unione Europea.
In termini più stretti, quello che preoccupa circa la diffusione di dati sulla propria vita passata riguarda eventuali condanne penali o legate a insolvenze finanziarie, che possono pregiudicare pesantemente la vita lavorativa e personale del soggetto coinvolto. Anche chi è parte lesa in fatti di cronaca passati, può nutrire il desiderio di essere dimenticato e può quindi esercitare il diritto all’oblio.
Il diritto all’oblio si applica quando i fatti riportati recano un danno evidente a chi abbia già espiato la propria pena o comunque nel caso in cui i fatti risalgano a un temo sufficientemente remoto. I media non devono riproporre nominativi e fatti riconducibili a determinate persone se quei fatti non hanno alcuna rilevanza nella società odierna e se non ci sono sviluppi nuovi e diversi rispetto a quelli noti.
Questo in linea generale; la possibilità di fare ricorso al diritto all’oblio però appare ancora poco chiara e molti hanno visto respingere le loro istanze, specie se inviate direttamente a motori di ricerca come Google e Bing. I media reclamano la libertà di informazione e l’impatto sociale nell’immaginario collettivo di alcuni fatti di cronaca, secondo chi avversa il diritto all’oblio a maglie strette, autorizza nuovi approfondimenti giornalistici e la riproposizione di quei fatti.
Dunque, su una materia così vasta e spinosa, la giurisprudenza non chiarisce completamente i limiti e le eccezioni.
Dato per assodato che essere “cancellati” completamente da internet è impossibile e, spesso, i motori di ricerca fanno ostruzionismo in questo senso, il modo più sicuro per ripristinare la propria web reputation o mitigare la propria presenza online se si vuole “scomparire” dal web, è quello di affidarsi ad aziende serie e competenti le quali, attraverso il monitoraggio online e l’intervento diretto a livello content, potranno recuperare la condizione d’oblio del cliente interessato.
È questo uno dei servizi offerti da Lifting Reputation (link): la nostra azienda si occupa di obliare alcuni contenuti, ripristinando la reputation. In un’epoca iperconnessa, il passato online riaffiora e rischia di minare la credibilità personale e lavorativa dei soggetti coinvolti.
Lifting Reputation interviene per ristabilire una web reputation positiva o neutra, nel caso il cliente non voglia più apparire online.